VOCE INTERIORE
Convivo da tempo con il mio critico interiore — e sto ancora imparando a fare pace con lui. So cosa significa guardarsi allo specchio e vedere solo la stanchezza: occhiaie, rughe, imperfezioni. A volte è così difficile dirsi qualcosa di gentile. E questa voce non è solo mia. La sento nelle parole delle donne che vengono ai miei shooting: «Non sono fotogenica», «Togliti le rughe», «Fammi sembrare più magra». Ma quando le guardo — vedo altro. Vedo il vivo: il battito delle ciglia, l’ombra sulla clavicola, il movimento dei capelli, la scintilla negli occhi. E lo riconosco — perché sto percorrendo la stessa strada. La fotografia diventa non solo lavoro, ma anche specchio — dove rifletto anche me stessa.
FOTOGRAFIA COME CONTATTO
Per me, la fotografia è una forma di contatto. Un modo per dire: «Sei già bella. Già vera. Già degna di essere vista.» Non si tratta di creare un’immagine perfetta, ma di cogliere un momento in cui si può semplicemente essere: spettinata, stanca, silenziosa — e comunque bellissima. Cerco la bellezza in ciò che di solito si nasconde: nella piega del collo, nel respiro, nelle rughe, nelle cicatrici. Nei tocchi. Nella luce e nell’ombra. Nei momenti in cui una donna smette di pensare a come appare — e resta semplicemente con sé. Scatto spesso attraverso vetri, uso maschere, sfocature, esposizioni lunghe — non come effetti tecnici, ma come parte del mio sguardo interiore. È così che sento le persone.
ESSERE VIVA
La mia arte è un modo di parlare con me stessa. Guarisco attraverso ogni donna che fotografo. Vedo in loro la bellezza viva — e imparo ad essere più morbida anche con me stessa. Fotografo le donne perché desidero dare anche a me il permesso di essere semplicemente me. Nella mia pratica c’è molto di documentario e molto di personale. Creo spazi di fiducia — e quella fiducia diventa parte dell’immagine. Attraverso ogni sguardo aperto, vulnerabile, tenero — mi avvicino a me stessa.
Non per essere sempre bella. Ma per essere viva.